Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 29 settembre 2015 Sabato 26 settembre ricorreva il 27° anniversario della morte di Mauro Rostagno. Lo abbiamo ricordato con Roberto De Bernardis all’inizio della ripresa autunnale della Scuola Langer a Trento, dedicata alla riforma dello Statuto di autonomia con i professori Roberto Toniatti e Andrea Pradi, come hanno fatto la presidente della Camera, Laura Boldrini, a Valderice, la compagna Chicca Roveri a Genova e tanti altri in altre città italiane. Rostagno era nato il 6 marzo 1942 a Torino ed è morto, ucciso per mano mafiosa, il 26 settembre 1988 a Lenzi di Valderice (Trapani). Mauro Rostagno nell’anno accademico 1963-64 si è iscritto al corso di laurea in Sociologia della appena nata Università di Trento. Nel 1966 si impegnò con il nascente Movimento studentesco di Sociologia per ottenere il riconoscimento legislativo in Parlamento del corso di laurea. Subito dopo l’approvazione parlamentare della legge 8 giugno 1966, viene nominato, insieme a Marco Boato e Luigi Chiais, membro di una Commissione di studio dell’ORUT (Organismo rappresentativo universitario trentino) incaricata di interloquire con la Direzione dell’Istituto in merito alla definizione dello Statuto e del piano di studi, conseguenti alla legge istitutiva. Nel corso del triennio 1967-68-69 Mauro Rostagno diviene il più riconosciuto leader del Movimento studentesco anti-autoritario trentino. Con la nuova direzione di Francesco Alberoni, dall’autunno 1968, diventa uno dei principali interlocutori dell’esperienza della “Università critica”, l’esperimento più avanzato a livello italiano ed europeo di riforma universitaria. Mauro Rostagno è stato un autentico leader antiautoritario, non solo nella critica pratica alle degenerazioni istituzionali, ma anche nel rifiuto del dogmatismo marxista-leninista e della burocratizzazione della politica, anche di quella che si pretendeva rivoluzionaria. Fu un leader imbevuto di marxismo critico, ma anche di controcultura americana e di critica spietata dei totalitarismi del socialismo reale. Dopo essersi laureato a pieni voti (110 e lode) in Sociologia, si trasferisce prima a Milano e quindi a Palermo, come esponente della sinistra extra-parlamentare ma anche come ricercatore nell’Università siciliana. Terminata alla fine del 1976 la vicenda politica di “Lotta continua”, ritorna a Milano, dove dà vita all’esperienza del locale alternativo “Macondo”. Successivamente si trasferisce con la famiglia (la compagna Chicca Roveri e la figlia Maddalena) in India, a Poona, dove aderisce al movimento “arancione”. Rientrato in Italia all’inizio degli anni ’80, fonda in Sicilia, a Lenzi di Valderice (Trapani), la Comunità “Saman” per tossicodipendenti, rifuggendo da qualunque modello costrittivo e basandosi sulla responsabilizzazione. Negli ultimi anni della sua vita si dedica inoltre con sempre maggiore impegno all’attività giornalistica nella televisione locale RTC, denunciando nelle sue trasmissioni quotidiane la presenza della mafia e della criminalità organizzata, la corruzione politica, le infiltrazioni massoniche, il degrado ambientale. Fu questa sua attività di “giornalismo militante” a costargli la condanna a morte da parte della mafia trapanese .Mauro Rostagno è morto davvero come un “eroe civile. L’itinerario politico e civile, che alla fine ha portato Rostagno all’appuntamento con la morte per mano di mafia, è stato lungo e straordinariamente ricco. Nonostante non abbia mai rinnegato la sua amicizia trentina con Renato Curcio (nata ben prima delle Brigate rosse), Rostagno si ispirava a un modello di pensiero e di azione totalmente alternativo alla clandestinità, alla lotta armata e al terrorismo militarista, operando sempre alla luce del sole, in mezzo alla gente: amando la vita e cercando di trasmettere questo amore. È questo straordinario amore per la vita, per la libertà e per la giustizia che segna il percorso di Mauro Rostagno attraverso le molte tappe della sua vita. È per tutto l’impegno nella sua vita che parliamo di Mauro Rostagno come di un eroe civile: perché ha creduto fino in fondo in questo suo impegno disinteressato e militante, fino al punto di non rendersi conto che il suo coraggio senza difese gli poteva costare la vita, fino al punto di sacrificare la sua vita sull’altare dell’impegno civile e dell’informazione libera da ogni condizionamento del potere. Per questo riteniamo che sia giusto e necessario che la sua figura pubblica trovi un adeguato riconoscimento in quella città di Trento, in cui ha vissuto gli anni più importanti e significativi della sua formazione e rispetto alla quale ha portato un ricordo e un amore incondizionato, che si è protratto per tutto il resto della sua vita e che ha dimostrato in particolare nel febbraio 1988, ritornando – nel ventennale del ’68 - per l’ultima volta nella città e nell’Università in cui si era formato e nella quale era diventato un protagonista dei movimenti collettivi. Le forme della politica erano cambiate, ma noni suoi valori di giustizia e di libertà, quando la sua vita fu stroncata dalla mano assassina della mafia. Trento può riconoscere in lui uno dei suoi figli migliori, che meritano di essere ricordati con orgoglio e dignità, per lasciarne il ricordo alla cittadinanza e anche alle nuove generazioni, e per segnare anche con il suo nome la propria “memoriastorica”. Marco Boato
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